Dopo svariati anni passati in azienda a lavorare come IT Manager in Operation, ho sentito l’esigenza di tirare le somme relativamente ad un’attività lavorativa tra le più usuranti, indirizzando il tema di come valorizzare il fattore umano e come migliorare in tal senso l’organizzazione.
Ho vissuto per molti anni erroneamente convinto di essere affetto da una sindrome di inadeguatezza sviluppata in una situazione lavorativa di forte divario tra la natura del lavoro stesso e la natura della mia persona. Come se percepissi uno squilibrio dovuto all’adattamento al lavoro che presentasse contatti frequenti con un’utenza negli anni sempre più esigente e con requisiti troppo sfidanti per una singola persona o per un solo team. Quando questo accade la nostra creatività si azzera, la capacità di innovare svanisce ed entriamo nella modalità del “pilota automatico”.
Inutile dire che una situazione lavorativa come quella poc’anzi descritta è assolutamente da evitare e che il management dovrebbe avere una serie di controlli finalizzati ad identificare queste situazioni e a porvi rimedio.
Nelle multinazionali i temi di performance dei team sono in generale demandati al manager gerarchico che mediante strumenti opportuni (coaching, time management, etc etc) ha il compito di sviluppare dei piani di sviluppo, laddove necessario, esseguendo delle review periodiche fornendo l’opportuno feedback ai collaboratori.
Il team manager ha anche il compito di tenere alto il clima del gruppo da lui gestito intervenendo nelle aree che, sulla base dei sondaggi inteni, hanno lo score più basso.
Tuttavia il miglioramento dei processi che coinvolgono un gruppo non può essere ottenuto con il semplice ricorso al manager di turno ma ha bisogno di un cambiamento di paradigma organizzativo e della risoluzione della complessità del sistema stesso. In altri termini l’obiettivo di avere un paradigma organizzativo che valorizzi il fattore umano non deve essere un tema del team manager ma di tutta l’azienda ed in primis del senior management.
Come già detto in un mio precedente articolo (https://www.barbonetti.it/la-business-continuity-cose/ ), l’azienda è un sistema complesso e per fare qualsiai modifica organizzativa non possiamo forzare il cambiamento ma occorre eliminare i fattori limitanti riducendo la complessità. Senza le opportune misure i sistemi complessi resistono agli sforzi che tendono a cambiarne il comportamento vanificando ogni tentativo orientato al cambiamento.
Senza un’opportuna strutturazione si chiede all’IT (ma questo potrebbe succedere in qualsiasi area) di essere al tempo stesso controllore e controllato, di supportare il business in tutti i suoi aspetti mediante una mole ingestibile di richieste via mail, il tutto a valle di processi di Global Sourcing e Cloud Sourcing che hano ridotto il team IT ad un manipolo di eroi che ricordano i valorosi soldati della cavalleria a difesa di Fort Apache massacrati da Cochise a causa della proterva ottusità del loro colonnello.
Molto interessanti sono i risultati dello studio, denominato “Aristotele”, portato avanti da Google che ha monitorato ed intervistato 180 team in due anni. (https://www.inc.com/michael-schneider/google-thought-they-knew-how-to-create-the-perfect.html) osservando che le performance dei team erano molto diverse. Soffermandosi sui gruppi più efficienti lo studio ha evidenziato le seguenti caratteristiche:
- Orientamento ai risultati.
- Obiettivi chiari e ruoli ben definiti.
- consapevolezza di fare qualcosa d’importante.
- Sicurezza psicologica.
Per ben delineare un percorso di cambiamento organizzativo occorre individuare in quale tipo di azienda stiamo lavorando. Il punto di partenza lo si può trovare nell’interessantissimo libro di Frederic Laloux “Reinventare le organizzazioni. Come creare organizzazioni ispirate al prossimo stadio della consapevolezza umana”. https://www.amazon.it/dp/8868961156/ref=rdr_kindle_ext_tmb
I modelli organizzativi illustrati da Laloux sono i seguenti:
- Red: da 15.000 a 4.000 anni fa circa. In questo paradigma impulsivo, l’esercizio del potere nelle organizzazioni è fine a se stesso. La paura è una componente importante all’interno delle organizzazioni.
- Amber: da 4.000 a 400 anni fa circa. Questo è un paradigma “conformista”, caratterizzato da formalizzazione e controllo, da processi stabili e gerarchie definite.
- Orange: da 400 anni fa circa. Orientato a obiettivi e risultati e promotore dell’innovazione, della responsabilità e della meritocrazia, è tuttora il modello più diffuso tra le aziende.
- Green: da 30 anni fa circa. Questo paradigma è pluralistico e pone l’accento sull’empowerment e la cultura condivisa, come in una famiglia.
- Teal: da 4 anni fa circa. Si tratta del prossimo stadio evolutivo, caratterizzato dalla piena valorizzazione delle potenzialità umane e già scelto da alcuni pionieri.
Come guidare la transizione da un colore all’altro è anche oggetto di convegni specifici ad esempio al link (http://www.agilebusinessday.com/) potete trovare interessanti interventi sull’argomento.
Tuttavia non bisogna pensare che un’azienda sia tutta di un colore e che debba transire verso un colore diverso ma occorre individuare se ci siano o meno delle aree potenzialmente oggetto di ottimizzazione.
Premesso che le organizzazione rosse ci sono ancora e che qualche senior manager è ancora convinto che deve esercitare il suo potere facendo lavorare nella paura i suoi lavoratori, bisogna secondo me focalizzarsi sul fatto che molte aziende pensano di essere “Orange” ma poi nei fatti non lo sono perché non vi è meritocrazia, la responsabilità non è mai chiara e l’orientamento ai risultati si traduce in una richiesta di tempi e costi a qualcun’altro.
Quindi prima di pensare leadership “teal” secondo il modello di Laloux o leadership “agile” occorre favorire la presa di coscienza delle proprie caratteristiche da parte delle organizzazioni e migliorare il livello di consapevolezza. Un possibile approccio potrebbe essere quello di impostare un modello Orange vero dove tutta l’azienda è orientata ai risultati e poi transire verso un modello teal (o Agile) per particolari aree aziendali.
Per individuare alcune azioni concrete, lasciatemi fare qualche osservazione sulla base di quanto visto in questi anni dal sottoscritto:
- Le persone delle business unit spesso si lamentano del lavoro dell’IT però mostrano una condizione lavorativa assai diversa con specializzazioni verticali su singoli processi di business con scarsa conoscenza dei processi implementativi e di gestione; Talvolta hanno carichi di lavoro ridotti in particolari momenti di ristrutturazione aziendale.
- Gran parte delle richieste fatte all’IT sono relative a servizi in grado di generare benefici, finanziari e non, per il raggiungimento di obiettivi delle business line e quindi per generare valore ed anche per preservarlo. Il tutto in assenza di una strategia IT che vada di pari passo con la strategia aziendale.
- Il 40% dei CIO italiani non adotta alcun KPI e solo il 12% delle funzioni IT si è dotata di strumenti formali di allineamento delle performance IT agli obiettivi aziendali (BSC-COBIT), mentre ITIL è adottato solo dal 18% delle aziende, contro il 51% a livello europeo (https://www.digital4.biz/executive/approfondimenti/l-it-governance-nelle-aziende-italiane-i-cio-ancora-poco-coinvolti-nei-processi-decisionali-una_4367215359.htm)
In virtù di quanto sopra, se vi riconoscete nelle situazioni suddette, occorre prima di tutto diventare una vera azienda “Orange” per poi valorizzare le potenzialità umane.
Le azioni finalizzate alla eliminazione dei fattori limitanti variano nelle diverse situazioni ma le seguenti si calano perfettamente alle aziende frequentate dal sottoscritto:
- Fortificare il team di Information Technology, vero fattore abilitante del business mediante azioni di ridefinizione ruoli (vedi l’articolo “Sono un professionista dell’IT”) con due gruppi distinti di Governance IT e Management IT.
- Cominciare ad abbattere i muri organizzativi mediante l’istituzione di gruppi di aree diverse che condividono lo stesso obiettivo (ad esempio tavoli per la compliance aziendale o per il miglioramento dei tempi di delivery).
- Oltre a persone che organizzano, pianificano, amministrano e controllano servono dei leader che non necessariamente occupano posizioni nella gerarchia aziendale. Serve gente che sa cosa fare, sa innovare, ha visione a lungo termine, infonde entusiasmo, sa coinvolgere in un progetto comune ed ha il tempo di fare il leader con passione.
Sul primo punto il framework ISACA COBIT e le sue linee guida (isaca.org/cobit/pages/default.aspx) sono un valido supporto insieme al Balanced Scorecard per l’Enterprise Governance per rendere più Orange l’azienda. E’ necessario inoltre far ricorso all’insourcing riducendo la dipendenza dai fornitori esterni con il ricorso all’Agile development e quindi allo sviluppo software in brevi cicli temporali privilegiando la comunicazione faccia a faccia, riducendo al massimo gli sprechi.
Sul secondo punto bisogna cominciare a far uscire ordini di servizio relativi alla costituzione di gruppi di lavoro cross area con nuove leadership e obiettivi chiari favorendo la bottom-up intelligence e la auto-organizzazion smontando il senso di appartenenza alle vecchie strutture troppo rigide e poco adatte al cambiamento continuo.
Sul terzo punto occorre diffondere la cultura diversa in azienda, identificare i leader (possibilmente dal basso) non sovraccaricarli con ruoli gestionali e aiutarli a far crescere nuovi leader utilizzando strumenti e tecniche al passo con i tempi (user story mapping o impact mapping).
Il presente articolo non è uno studio di un accademico ma sono considerazioni di un addetto ai lavori basate sulle esperienze sul campo. Quindi questa è un’opera di semplificazione rispetto agli studi universitari in essere ai quali si rimanda per avere una visione più sistemica e precisa.
davvero interessante sia quello che dici che ciò che non dici…grazie Francesco
Grazie a te Rodolfo. Sono molto contento del tuo interesse per l’articolo e che hai notato il freno a mano tirato.